Come tutto è nato

Nella Toscana di Ieri e di Oggi, il vino come forma d'arte ed espressione di bellezza.

Scopri la nostra origine

La bellezza, nel suo senso più profondo, genera una riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale. Da quando nacque l’arte, gli uomini cercarono le forme e le misure più diverse da attribuire ad ogni loro opera per creare bellezza, così come successe nella storia del vino in Toscana.

Tutto ebbe inizio nella mitologia greca, dove armonia e bellezza caratterizzavano ogni forma di arte.

Furono proprio i greci classici a portare in Toscana la Vitis Vinifera – vite comune – a partire dalla metà del VIII sec. a.C. Nel secolo successivo gli Etruschi perfezionarono notevolmente le tecniche di coltivazione, tanto che le famose anfore vinarie etrusche diventarono oggetto di desiderio lungo tutta la costa dell’occidente mediterraneo.

La diffusione del vino in Toscana vide i suoi albori con il sorgere delle Arti di Firenze.

Tra il XII ed il XIII secolo quando iniziano a costituirsi le corporazioni delle arti e mestieri. Si trattava di associazioni laiche nate per la difesa ed il perseguimento di scopi comuni che riunivano gli appartenenti ad una stessa categoria professionale o chi esercitava lo stesso mestiere.

Nel 1266 i commercianti e venditori di vino diedero vita insieme a osti, fornai e albergatori all’Arte dei Vinattieri, per poi diventare autonomi qualche anno dopo e riunire tutti i proprietari delle osterie e i mercanti di vino, che potevano vendere la loro merce all’ingrosso o anche al minuto nelle mescite.

Uno stuolo di osterie ed un consumo pro capite attorno ai tre quarti di litro ogni giorno di un vino novello, accompagnati dalla diffusione della tecnica di lavorazione del vetro verde, un materiale poco costoso che consente di conservare perfettamente vino e olio, fece sì che nascesse il famoso fiasco da vino impagliato, perfetto legame tra campagna e artigianato.

Nel frattempo crebbero il prestigio e le esportazioni del vino toscano, grazie ai rapporti con i sovrani europei del Granduca Cosimo III Medici, ai quali decise di regalare annualmente il prezioso vino toscano.

Per certificarne la qualità e l’eccellenza, nacquero i primi consorzi di tutela.

Primo fra tutti a fissare la formula del Chianti Classico fu il barone Bettino Ricasoli, che nel 1872 nel comune di Gaiole in Chianti stabilì che il 70% doveva essere composto da uve Sangiovese e la parte restante da uve Canaiolo e Malvasia.

In quel periodo alcuni produttori vinicoli toscani si sentirono un po’ stretti nella rigidità del disciplinare di denominazione del Chianti Classico, a cui però dovevano attenersi affinché i loro vini potessero fregiarsi della certificazione DOC (Denominazione di Origine Controllata). Decisero di non farsi limitare e di sperimentare nuove strade, poiché i terreni toscani, per le caratteristiche sassose erano poco adatti al Sangiovese, vitigno regionale per eccellenza, ma perfetti per coltivare uve internazionali di altissima qualità, quali Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, da cui si sarebbero potuti ottenere grandi vini rossi, longevi e strutturati.

L’intuizione fu quella di sfruttare le caratteristiche di un territorio che avrebbe dimostrato grandi potenzialità con uve non autoctone come quelle bordolesi. Un nuovo fenomeno stava nascendo ma nessuno ancora lo sapeva: i Super Tuscan, una forma d’arte che ha osato dove nessuno prima ne ha avuto il coraggio.